Imagine Britain without music: si apre così l’accorato appello che un folto gruppo di musicisti britannici guidati da Bob Geldof, il patron del famoso Live Aid, ha scritto al Primo Ministro Theresa May mettendola in guardia sulle enormi conseguenze che la Brexit avrà sulla cultura del Regno Unito, e in particolare sulla musica - oggi protagonista a livello globale. L’appello, sottoscritto tra gli altri da Ed Sheeran, Rita Ora, Sting, Brian Eno, Damon Albarn e il direttore d’orchestra Simon Rattle, arriva nel pieno dei negoziati con l’Unione Europea e del forte dibattito interno in corso in UK. Occorre rilevare che nel 2017, secondo i dati di IFPI, la Federazione Internazionale dell’Industria Musicale, solo a livello di musica registrata la produzione britannica ha generato 1,31 miliardi di dollari a livello globale posizionandosi al quarto posto tra i principali mercati e Ed Sheeran sul podio per l’album più venduto a livello mondiale. Complessivamente l’industria creativa britannica ha fatturato oltre 92 miliardi di sterline crescendo a ritmi doppi rispetto a tutti gli altri settori. Gli effetti della Brexit sulla diffusione musicale saranno devastanti, dicono i firmatari della lettera pubblicata domenica scorsa sull’Observer. La sospensione delle previsioni sulla libera circolazione delle persone nel mercato unico colpirà gli artisti britannici in tour, con effetti negativi su tutto l’indotto e sulle giovani generazioni di professionisti della musica.
Tanti sono gli artisti preoccupati degli effetti della Brexit: il quotidiano The Guardian ha pubblicato diversi commenti, da Lily Allen ai Massive Attack, che hanno prodotto undici album di successo a livello globale: ognuno di loro teme la prigione culturale che si creerà con l’iniziativa britannica.
E pensare che oggi, anche grazie alle reti digitali e alla musica in streaming, ogni artista ha potenzialmente di fronte un pubblico grande come l’intero pianeta, con grandi opportunità di diffusione delle proprie opere senza alcun confine. In particolare, laddove molti Stati chiudono le proprie frontiere o rendono difficile la circolazione delle persone, la musica diventa sempre di più universale con nuovi protagonisti che raggiungono il successo o si fanno conoscere al di là dei propri confini.
Un’ulteriore prova è data anche dalle recenti notizie sugli investimenti della case discografiche in Africa, dove stanno nascendo tanti talenti che potranno raggiungere i mercati globali. Universal Music ha aperto degli uffici in Costa d’Avorio e Sony Music in Nigeria e Kenya, firmando contratti con molti giovani artisti dalle grandi potenzialità. Una risposta indiretta nei confronti di coloro che ritengono invece che chiudersi a riccio o che sovranismo e protezionismo siano l’unica soluzione.