Il plagio musicale nell’era dello streaming: tecnologie e innovazione nelle aule giudiziarie

28 giugno 2021

Mentre nel settore musicale il fenomeno della contraffazione e della pirateria ha iniziato a contrarsi, negli ultimi anni si è assistito a un deciso incremento dei casi di plagio musicale e delle relative iniziative giudiziarie.

Il plagio nell’economia dello streaming

Il plagio, a differenza della pirateria, è una violazione dei diritti d’autore che si concretizza nell’appropriazione di un contenuto musicale di un altro autore o compositore, facendolo passare per proprio.

In generale, sono tre gli elementi che costituiscono una composizione musicale: la melodia, il ritmo e l’armonia. Nella giurisprudenza italiana, ad esempio, si ritiene che il ritmo della melodia non sia tutelabile mentre lo è la melodia in quanto tale. Inoltre, il singolo accordo non è tutelabile, mentre lo è la combinazione di accordi - ovvero l’armonia.

Con lo sviluppo delle tecnologie digitali e di generi musicali nuovi che mescolano e remixano, anche con citazioni di brani famosi, i casi di contestazione sono cresciuti. Secondo il monitoraggio effettuato dalla facoltà di giurisprudenza della George Washington University, tra il 1844 e il 2014 si sono verificati non più di otto casi di questo tipo all’anno, mentre negli ultimi sei anni hanno visto una media di 16, e contro artisti del calibro di Taylor Swift, Katy Perry e Drake.

Nell’economia dello streaming, che consuma successi in tempi molto rapidi, la produzione e la distribuzione di hit sulle piattaforme ha assunto ritmi vertiginosi, con producer attivi contemporaneamente anche su più brani: ogni venerdì sono pubblicati decine di migliaia di nuovi singoli a livello globale.

Gli artisti lavorano spesso con squadre di professionisti e su featuring, ovvero cooperazioni, che coinvolgono diversi compositori e autori, anche in diverse parti del globo.

I fenomeni di plagio sono così cresciuti e hanno anche portato a casi complessi e dagli effetti non sempre prevedibili.

Il confine sottile che esiste fra plagio e ispirazione

Il caso più eclatante è costituito dal precedente stabilito nel 2015, quando una giuria ha stabilito che Blurred Lines di Robin Thicke con il featuring di T.I. e Pharrell aveva copiato il successo di Marvin Gaye del 1977, “Got to Give it Up“: i tre sono stati accusati di aver copiato la linea melodica di Gaye.

Secondo la Corte Usa tale accusa aveva fondamento e Robin Thicke e Pharrel Williams sono stati condannati a versare 7,3 milioni di dollari a titolo di risarcimento agli eredi, mentre T.I. è stato assolto.

Il caso ha generato forti polemiche sul confine sottile che esiste fra plagio e ispirazione. L’argomento della famiglia Gaye secondo cui una “costellazione di somiglianze”, per lo più non protette individualmente, equivaleva a violazione di copyright è stata criticata da studiosi legali e musicisti, duecento dei quali hanno sottoposto una memoria legale (amicus brief) ai giudici sostenendo che questa decisione, tra l’altro, avrebbe lasciato gli artisti “con un piede nello studio di registrazione e un piede in aula”.

Pharrell Williams, inoltre, durante un’udienza, ha descritto alla giuria la differenza tra atmosfere “emotive” e plagio, sostenendo che per scrivere Blurred Lines si fosse ispirato ai suoni dei tardi anni Settanta. Secondo questa linea difensiva i familiari di Gaye, non potendo vantare diritti su un intero genere musicale non avrebbero potuto denunciare un plagio, dato che gli spartiti dei due brani sono in realtà molto diversi, anche se le melodie di fatto sono identiche.

Le conseguenze della sentenza

Molti esperti del settore hanno prefigurato come potenziale conseguenza della decisione dei giudici una sorta di “chilling effect” sul settore musicale, soprattutto in un contesto estremamente creativo come quello attuale.

Randall Roberts, in un articolo pubblicato sul LA Times nel marzo del 2015 e dal titolo “How the ‘Blurred Lines’ case could have chilling effect on creativity”, ha affermato che il fenomeno dell’imitazione nella musica pop è qualcosa di assolutamente normale.

Roberts scrive testuale “Cosa c’è di nuovo? La musica pop è alla base di una forma di furto creativa, quella in cui ogni nuova generazione di artisti si basa sulle vibrazioni e le idee che li hanno influenzati negli anni formativi. Per ogni visionario sono un centinaio di ladri, e l’unica differenza è che uno celebra il suo furto, mentre gli altri sostengono di non saperne nulla”.

Tuttavia, anche la Corte di Appello che si è pronunciata sul caso ha confermato la decisione del primo grado dando ragione agli eredi di Gaye anche se la sentenza è arrivata a maggioranza di due giudici su tre e nella dissenting opinion il giudice ha osservato come con questa sentenza il “groove” e il “feel” siano stati elevati al grado di tutela sulla base del copyright.

Evoluzione tecnologica e attività di tutela

Ma le conseguenze di questa decisione sul settore sono state sicuramente di rilievo ed hanno messo in moto un complesso sistema di tutela dalle potenziali violazioni.

Secondo un recente articolo dell’Economist la tecnologia ha anche incoraggiato più reclami: ora che ogni traccia è online, è più difficile per gli artisti difendersi sostenendo di non aver ascoltato la canzone che sono accusati di copiare.

È sempre più probabile che le somiglianze vengano segnalate con eserciti di fan che perlustrano YouTube e le piattaforme di streaming. Anche in Italia, al recente Festival di Sanremo, è arrivata una segnalazione di plagio nei confronti della canzone dei vincitori, i Maneskin, poi rientrata dopo una perizia.

Sempre l’Economist riporta come la digitalizzazione abbia incoraggiato il campionamento, portando a più opere di “collage musicale”.

L’enorme quantità di produzione che viene oggi immessa sulle piattaforme (solo su Spotify vengono caricate 60 mila canzoni ogni giorno) conferma che la possibilità di plagio sta in crescendo.

E con l’evoluzione tecnologica si è sviluppata un’attività preventiva di tutela: i compositori e le label coinvolgono sempre di più “musicologi forensi” per controllare le loro canzoni prima del rilascio. Joe Bennett del Berklee College of Music ha confermato un forte aumento di consulenze preventive dopo il caso di “Blurred Lines”.

Conclusioni

Quando viene intentata una causa per copyright musicale, entrambe le parti chiamano un musicologo forense per fornire un’analisi dettagliata dei due brani oggetto della disputa, esaminando tutto, dai testi, alle melodie e al ritmo, all’arrangiamento di strumenti, progressioni di accordi ed elementi armonici. Se si sospetta un campionamento non cancellato, un esperto può persino eseguire l’analisi dello spettrogramma, esaminando la forma d’onda di ogni canzone per rinvenire delle “impronte digitali” che potrebbero rivelare la presenza di un campione. Per questo motivo e per tutelarsi da azioni potenzialmente milionarie le label richiedono perizie preventive prima di “mandare in stampa” il prodotto finale.

Le tecnologie sono anche alla base della generazione di nuovi ritmi e soggetti, grazie anche all’intervento dell’intelligenza artificiale, che è in grado di essere impostata in modo da realizzare composizioni che sono più difficili da rivendicare come originali.

In uno dei casi più recenti, ovvero quello instaurato da un rapper della Florida, Emelike Nwosuocha contro Donald Glover, in arte Childish Gambino, si sostiene che “This is America” ​​utilizza lo stesso “flusso” ritmico di “Made in America” ​​e copre gli stessi temi, che includono la violenza armata e il razzismo. L’effetto sull’ascoltatore può essere simile ma chiaramente il tema della canzone è difficilmente proteggibile a meno di spostare l’intero perimetro verso una sorta di “format” che godrebbe di una autonoma protezione del copyright.

Ma qui saremmo di fronte veramente al rischio di imbavagliare l’espressione artistica.