In poche settimane la crisi generata dal coronavirus ha travolto l’intera filiera musica.
Il blocco dei concerti e degli eventi, grandi e piccoli ha prima colpito il live, con potenziali danni che fino al tre aprile si possono stimare, secondo Assomusica, in 40 milioni di euro, con oltre tremila concerti cancellati o rinviati. Keepon, il raggruppamento dei live club ha descritto una situazione drammatica per le piccole venue ed ora cominciano ad apparire evidenti anche i primi effetti sul mercato discografico italiano.
Negozi e catene di intrattenimento chiuse, molte pubblicazioni rimandate già a dopo l’estate e sale di registrazione inaccessibili offrono un quadro potenzialmente molto negativo. Dalle prime settimane emergono infatti evidenti i cali sul segmento fisico (CD e vinili) di oltre il 60%, sui diritti connessi di oltre il 70% (dovuta alla chiusura di esercizi commerciali e all’assenza di eventi) e sulle sincronizzazioni in grave sofferenza. Anche lo streaming soffre a causa dell’assenza di nuove release, che solitamente fanno da traino agli ascolti, e della scarsa mobilità dei consumatori (secondo i dati IFPI, in Italia il 76% di chi ascolta musica lo fa in auto, e il 43% nel tragitto casa-lavoro).
Succede dopo un anno, il 2019, che secondo i dati IFPI aveva invece mostrato per l’Italia una crescita complessiva dell’8%, la più elevata da cinque anni, per un valore di 247 milioni di euro. Trascinato dallo streaming con un +26,7%, il digitale ha conquistato nel nostro Paese una fetta che rappresenta oggi oltre il 70% di tutti i ricavi. Rilevante è anche il sorpasso dell’audio streaming free sostenuto dalla pubblicità sullo streaming video, con 21 milioni di euro contro 18 milioni, confermando ancora una volta la presenza di un effettivo Value Gap nella remunerazione da piattaforme come YouTube.
In deciso declino - che purtroppo potrà essere solo ulteriormente aggravato dall’attuale crisi sanitaria - il segmento fisico, ora sceso del 13,8%: se il CD segna –20,9%, il vinile riesce invece a tenere con un +7,3%.
Nel 2019 ha sicuramente contribuito a contenere il declino di questa fascia di mercato il Bonus cultura, che ha generato ricavi per quasi 20 milioni di euro. Non a caso proprio l’estensione del bonus, appena rilanciato per i giovani nati nel 2001, a una più ampia platea di consumatori potrebbe essere uno degli strumenti - insieme a un allargamento del tax credit per le produzioni discografiche - da rendere strutturale nel dopo crisi.
La grande quota di produzione italiana inoltre, che ha rappresentato l’87% degli album più venduti nel 2019 (una delle percentuali di repertorio nazionale più elevata nel mondo), è quella che potrebbe soffrire di più dallo stato di crisi. Con sale di registrazione ferme, concerti e tour bloccati, l’impatto su tutta la filiera dei creativi, dei tecnici di studio e dei lavoratori del settore potrebbe essere devastante.
Le misure richieste dalle aziende, oltre a quelle più generali rese già disponibili dal decreto Cura Italia, dovrebbero, oltre a salvaguardare la liquidità delle imprese, sostenere la fase di ripresa delle attività, con una focalizzazione su elementi fiscali, quali l’estensione del tax credit a tutte le opere, la riduzione dell’IVA al 4% così come per l’editoria e un allargamento della platea destinataria del bonus cultura.
Un primo passo nella conversione del Decreto Cura Italia dovrebbe essere quello di estendere le previsioni del fondo previsto dall’articolo 89 del decreto anche all’industria musicale.
Il Decreto Legge Cura Italia nel Titolo V, ha introdotto infatti, con tale previsione, importanti misure, istituendo il Fondo emergenze spettacolo, cinema e audiovisivo, per complessivi 130 milioni per l’anno 2020. Il Fondo si divide in due “sottofondi”: il primo di 80 milioni, per la parte corrente, e il secondo di 50 milioni, per gli interventi in conto capitale.