L’industria musicale è il settore che più di ogni altro è stato protagonista di una continua rivoluzione tecnologica: dal vinile al CD - primo supporto digitale per ascoltare musica in alta definizione - passando per l’MP3 e la distribuzione online, prima con Itunes e poi via via fino allo streaming di Spotify, e poi il video sharing di YouTube e oggi gli short video di TikTok. Ora il settore si appresta a confrontarsi con un altro salto nell’iperspazio dell’innovazione più spinta, tra rischi e opportunità.
L’intelligenza artificiale già da tempo ha costituito una parte significativa dell’industria: dagli algoritmi delle playlist agli smart speaker e alle tecnologie per sviluppare la promozione sui social media, le tecnologie di AI sono infatti già ampiamente impiegate. Tuttavia, le ultime evoluzioni con ChatGPT e i modelli di grandi linguaggi (LLM - large language model), ovvero il più noto dei foundation model, l’intelligenza artificiale generativa è entrata prepotentemente nell’arena musicale.
La tecnologia dietro questi sistemi prevede che una grande mole di dati funga da addestramento per le macchine in modo da rispondere ai prompt che oggi possono essere impiegati anche per generare testi, canzoni e composizioni musicali. Da un lato questi strumenti possono costituire un valido sostegno agli artisti nell’attività creativa, dall’altro pongono anche sfide normative, etiche e di tutela di diritti non solo patrimoniali.
Un primo aspetto fondamentale riguarda la competizione tra macchina e uomo. Può l’intelligenza artificiale sostituirsi completamente alla creatività umana e ottenere gli stessi diritti?
Una prima interessante risposta sul punto è giunta da una corte USA, che in un caso nato dalla richiesta al Copyright Office di registrare un’opera realizzata esclusivamente dalla macchina, ha preso le parti dell’istituzione a salvaguardia dei diritto d’autore riconoscendo che la legislazione prevede di riconoscere il copyright solo alle opere con un prevalente contributo creativo umano. Nel caso in esame l’opera realizzata dalla macchina prevedeva un contributo umano insignificante che si limitava a scrivere un prompt (una richiesta) e l’intelligenza artificiale realizzava l’opera basandosi su quanto rastrellato in rete.
Questo ci porta a un secondo - ma non meno importante - aspetto dell’AI generativa: piattaforme come OpenAI altro non fanno che fondare le proprie conoscenze su contenuti già disponibili in rete e, nel caso della musica, di opere protette da copyright che appartengono ai legittimi proprietari.
In questo contesto, la legislazione europea, ad esempio, laddove ha identificato con la Direttiva Copyright le eccezioni per il cosiddetto text & data mining, ha previsto l’esistenza di un’autorizzazione preventiva dei titolari dei diritti. E la proposta di regolamento EU sull’intelligenza artificiale in fase di approvazione a Bruxelles ha confermato questi princìpi.
La questione dell’addestramento delle macchine e dei diritti di proprietà del intellettuale è anche oggetto di una disputa, per ora extra giudiziale, tra il New York Times e OpenAI. Il popolare editore americano ha modificato le condizioni contrattuali del proprio sito prevedendo l’impossibilità di rastrellare i contenuti protetti da parte di terzi per addestrare sistemi di AI. Se non si troverà una soluzione è probabile che si apra un contenzioso in tribunale.
Il tema dell’utilizzo di contenuti protetti è ampiamente evidenziato anche nei princìpi elaborati dal progetto Human Artistry, sostenuto in Italia da FIMI (la Federazione dell’industria musicale italiana) che prevedono non solo l’autorizzazione preventiva ma anche regole di trasparenza che richiedono a chi realizza opere con l’AI di segnalarlo a tutela dei consumatori.
Ciò accade perché, nell’evoluzione in corso, sempre di più ci si trova di fronte a creazioni che riprendono contenuti ufficiali ma mai creati originariamente dall’artista. Ovvero i deep fake, come il brano di Drake e The Weeknd, mai realizzato dagli artisti ma che ha generato milioni di stream sulle piattaforme.
Questi contenuti tuttavia sembrano affascinare i fan tanto che Universal Music e Google hanno iniziato a discutere della possibilità di licenziare legalmente ai fan voci degli artisti e altri contenuti per generare opere inedite.
Secondo Warner Music, altra casa discografica che sta lavorando intensamente sul fronte dell’AI, garantendo i diritti di produttori e artisti si possono generare interessanti opportunità per monetizzare i contenuti.
YouTube, su questo fronte, ha lanciato una iniziativa responsabile nell’utilizzo dell’AI nella musica che ha riassunto in tre fondamentali princìpi:
Principio #1: l'IA fa parte del nostro presente e noi abbiamo deciso di accoglierla in modo responsabile insieme ai nostri partner musicali.
Principio #2: l'IA sta inaugurando una nuova era di espressione creativa, che deve essere tutelata adeguatamente e sbloccare le opportunità per i partner musicali che decidono di unirsi a noi in questa sfida.
Principio #3: abbiamo costruito un legame basato su fiducia, sicurezza e politiche leader nel settore. Le sfrutteremo per affrontare le sfide dell'IA.
Queste iniziative saranno sicuramente seguite da altri player high tech, consapevoli che lo sviluppo del settore musicale -che si prevede crescerà a 153 miliardi di dollari di ricavi nel 2030 - non può prescindere da accordi con i titolari dei contenuti per la monetizzazione della produzione creativa sulle piattaforme di intelligenza artificiale.