La crescita e il ricambio della musica italiana tra innovazione, tecnologia e nuovi repertori

17 febbraio 2021

La classifica annuale degli album e dei singoli più venduti del 2020, tra CD, vinili, download e streaming premium conferma il successo della musica italiana che negli anni ha visto crescere sempre di più la quota di mercato nel nostro Paese.

 

Per la prima volta nella storia della classifica degli album la top ten dello scorso anno è stata occupata solo da artisti italiani. Dieci anni prima, peraltro con un repertorio decisamente più pop, gli artisti italiani erano sette su dieci e venti anni fa solo il 50% della top ten era appannaggio di italiani.

Nei singoli, sette brani su dieci in top ten nel 2020 contro tre su dieci del 2010, nell’era del download. La crescita della musica italiana è stata costante negli ultimi anni, guidata anche dalla rivoluzione streaming che ha portato in classifica tanti nuovi artisti della leva hip hop e urban.

 

Negli anni Dieci molti esperti di musica avevano previsto che con il boom del digitale e la conseguente globalizzazione dello streaming ci si sarebbe trovati di fronte a un dominio incontrastato di hit internazionali, spinte dalle piattaforme. Si trattava di un rischio che veniva soprattutto visto come potenzialmente mortale per i repertori nazionali e gli artisti emergenti, non in grado di competere con un’offerta di ampio respiro come, in particolare, quella della musica angloamericana.

In realtà in molti Paesi, tra cui l'Italia, le major discografiche avevano percepito l’opportunità legata alle tecnologie che soprattutto la generazione Z aveva individuato come strumento principale per consumare musica e conoscere nuovi artisti e generi musicali. Gli investimenti internazionali nel nostro Paese sono così via via cresciuti esponenzialmente, puntando su talenti emergenti, modificando i trend, utilizzando in maniera accurata anche i nuovi canali social e le piattaforme di video sharing per fare scouting.

 

Le basi di questi interventi si ponevano proprio nel periodo della grande crisi di mercato dei primi anni Duemila, dove le case discografiche, pur nelle difficoltà legate alle ristrutturazioni e alle fusioni in atto, hanno mantenuto elevati livelli di investimento in ricerca e sviluppo - il cosiddetto A&R - investendo in media il 9% dei ricavi per fare “research and development”: un investimento che ha poi ripagato alla fine degli anni Dieci, con l’esplosione di nuovi talenti e la conquista delle chart da parte di nuovi generi musicali che oggi iniziano anche a filtrare nelle classifiche internazionali.

 

Pur nel contesto di un anno difficile come quello della pandemia, le aziende hanno continuato a pubblicare novità, investendo anche sul fronte della produzione di videoclip, nonostante le complesse misure sanitarie e quest'anno si aprono nuove opportunità con l’introduzione del nuovo tax credit, la defiscalizzazione per la produzione di album e di video musicali.

Questo è lo scenario con il quale l’industria discografica si appresta ad affrontare l’evento musicale dell’anno, il Festival di Sanremo, uno show che pur non generando ricavi rilevanti dal punto di vista economico (vale infatti tra l'1 e l’1,5% del fatturato annuale) rappresenta un importante palcoscenico per presentare nuovi artisti emergenti al grande pubblico con una visibilità promozionale molto elevata. L’affermazione negli ultimi anni di artisti come Gabbani, Ultimo e Diodato ne sono la conferma.