La musica è sempre più streaming ma esplode la questione value gap: dov'è la sostenibilità?

12 maggio 2016

Gli ultimi dati diffusi da IFPI a livello globale confermano il sorpasso della musica liquida sul mercato fisico. Per la prima volta, grazie in particolare alla spinta dello streaming, la musica digitale supera il 45% dei ricavi del settore che complessivamente si attestano a 6,7 miliardi di dollari contro il 39% del mercato tradizionale.

Tutto bene quindi? Come spesso preannunciato, l'innovazione abbracciata dall'industria discografica ha portato finalmente al recupero delle economie perse nell'era post - Napster? Nei giorni scorsi, a Toronto, in Canada, i rappresentanti dell'industria musicale si sono confrontati sullo stato di un settore dove il digitale è ormai "new normal" . L'aspetto più controverso dell'innovazione in corso riguarda la sostenibilità di alcuni modelli di business, in particolare quello sostenuto dalla pubblicità, rispetto alla filiera artistica e produttiva che realizza gli investimenti.

Frances Moore, CEO di IFPI è stata molto chiara sul punto: "Dopo venti anni di declino quasi continuo, il 2015 è testimone di un momento storico per la discografia: i ricavi crescono nel mondo, il consumo di musica impazza ovunque e i ricavi digitali per la prima volta diventano protagonisti. Questi riflettono il lavoro di adattamento che il settore musicale ha praticato in un momento di fortissima digitalizzazione permettendogli di riemergere ora più forte e capace. Dovrebbe trattarsi di una notizia molto positiva per i produttori musicali, gli investitori e i consumatori. Eppure ci sono valide ragioni per contenere i festeggiamenti: semplicemente i ricavi, vitali per ogni tipo di investimento sul futuro, non vengono ridistribuiti correttamente ai detentori di diritti. Il messaggio è chiaro e arriva dalla comunità musicale completa: il "value gap"è il più grande ostacolo per la crescita dei ricavi di artisti, produttori e aventi diritto. È necessario un cambiamento, le istituzioni devono comprendere che il settore musicale guarda verso un cambiamento notevole e significativo". Piattaforme come Youtube hanno 900 milioni di utenti ma generano solo una parte molto contenuta di ricavi. La posizione di Frances Moore è confermata anche da un interessante intervento di Nelly Furtado sul quotidiano britannico The Guardian.

Per l'artista canadese Youtube dovrebbe farsi carico di risolvere il gap tra i ricavi che i propri servizi generano tramite la pubblicità e le royalty distribuite agli aventi diritto. Nelly Furtado ha anche contestato le affermazioni di Youtube secondo le quali il servizio video streaming pagherebbe agli artisti più di quanto viene versato dalle radio. "Il paragone è insostenibile" ha scritto l'artista. " Youtube è un servizio on demand, non un flusso di musica, perfino una radio internet come Pandora paga di più"

Giuridicamente come si colloca la questione del "value gap"? Essa deriva dal fatto che alcuni principali servizi digitali sono in grado di aggirare le normali regole che si applicano alle licenze musicali. Le piattaforme che offrono servizi di caricamento da parte degli utenti affermano di non dover negoziare alcuna licenza per la musica messa a disposizione o sottoscrivere licenze a livelli artificialmente ridotti, richiamando la regole sull'assenza di responsabilità ("safe harbour") che vennero introdotte alle origini della rete internet in Europa e Stati Uniti.

Queste regole sono oggi applicate in maniera distorta. Furono infatti tese a proteggere dai rischi di potenziali violazioni di copyright, gli intermediari esclusivamente passivi e non furono certamente disegnate per esentare dal rispetto delle regole seguite ad altre piattaforme musicali alcune importanti aziende attivamente impegnate nella distribuzione di musica online. L'effetto oggi, è quello di generare una distorsione del mercato, concorrenza sleale e di privare di un'adeguata compensazione artisti e case discografiche.

Il settore dei titolari dei diritti nella comunità musicale è impegnato nell'ottenere una riforma legislativa per modificare tale anomalia. Non può protrarsi una situazione dove alcune piattaforme digitali generano un rilevante business a spese del settore musicale e creativo solo grazie ad un "safe harbour", un porto sicuro dove trovare rifugio e generare profitti grazie alla musica. Le piattaforme che offrono servizi di caricamento per gli utenti che beneficiano della errata applicazione delle norme sulla responsabilità degli intermediari, hanno una base utenti stimata di oltre 900 milioni. I ricavi generati da questi servizi basati sulla pubblicità hanno prodotto un fatturato di 634 milioni di dollari, solo il 4% del mercato globale della musica.

In Europa un passo importante è stato compiuto nel dicembre 2015 quando la Commissione Europea ha pubblicato la comunicazione " verso un quadro normativo moderno e più europeo sul diritto d'autore" riconoscendo allo stesso tempo che il settore creativo e musicale, così come i servizi online, sono importanti per la crescita economica ed occupazionale in Europa. In tale comunicazione la Commissione ha espresso l'intenzione di affrontare il tema del value gap entro il 2016.

Recentemente anche lo studio di EY sull'Italia creativa ha affrontato in un focus la questione del value gap e dell'impatto sul settore, non solo musicale.

È assolutamente necessario che venga ristabilito un equilibrio tra ricavi generati dalla piattaforme tecnologiche e i titolari dei diritti. Una crescita che penalizzi un solo segmento avrebbe effetti sull'intera sostenibilità del mercato.