Nei giorni scorsi è montata una polemica molto accesa sulla decisione della Rai di tenere il Festival di Sanremo nelle date già previste di marzo e con la presenza di un pubblico di figuranti.
La decisione è ovviamente legata anche alla predisposizione di adeguati protocolli sanitari, così come richiesto anche da FIMI e dall’altre organizzazioni che rappresentano gli operatori del settore, e al fatto che l’evento si svolgerà trasformando il teatro Ariston in uno studio televisivo.
La notizia ha suscitato una serie di reazioni negative nel mondo della cultura, in particolare del teatro e del cinema, che avrebbe percepito in questa decisione di procedere con l’evento una sorta di discriminazione rispetto al fermo dell’intero settore, che proprio a marzo di fatto arriverà a un anno.
Il direttore del Teatro di Genova Davide Livermore in un'intervista alla Stampa ha mostrato intenti bellicosi: “Assisteremo a Sanremo con il pubblico in sala? Allora noi apriremo i teatri e sul palco ci sarà il nostro festival: primo concorrente Shakespeare”.
Altri protagonisti del mondo del teatro e del cinema hanno confermato una sorta di “discriminazione politica” dimenticando probabilmente che è da un anno che Rai produce o trasmette eventi culturali con dirette o differite televisive e anche che molti teatri hanno realizzato notevoli eventi in streaming.
Questa fase complessa della cultura e degli eventi dal vivo non dovrebbe però essere quella delle polemiche all’interno del settore culturale ma quella della promozione, in modo unitario, di una forte presa di posizione per il ritorno degli eventi in totale sicurezza. La cultura è d'altronde il vaccino per la mente e in questo momento servirebbe anche questo per superare la grave situazione, anche psicologica, che pesa sull’intera popolazione.
È condivisibile quando Livermore afferma che tutti i teatri dovrebbero poter riaprire e in fondo lui stesso ha potuto disporre di una fantastica macchina produttiva messa a disposizione da Rai per una prima della Scala in totale sicurezza, ma sbaglia ad attaccare il mondo legato a Sanremo.
L’attacco al Festival sembra portare a galla una sorta di tradizionale insofferenza verso il mondo della musica popolare che regolarmente viene liquidata con un “sono solo canzonette”. Come se esistesse una cultura alta, unica autorizzata a riconoscersi nella produzione creativa, e una bassa, che dovrebbe essere liquidata a fenomeno da baraccone, mentre come è noto, dietro alla musica esiste un vasto mondo produttivo e di imprese che, tutte insieme, rappresentano circa 82 miliardi di valore aggiunto al PIL dell’EU.
Se guardiamo al mondo produttivo dell’industria discografica siamo abituati a vedere major discografiche che investono e producono contenuti con label che vanno proprio dalla classica e dall’opera al rap e hip hop senza steccati o discriminazioni di genere.
Non si vede pertanto perché non si possa realizzare, in sicurezza, un evento come il Festival che è un momento nel quale si presenta parte della nuova produzione artistica inedita del settore musicale così come avviene per il cinema a Venezia o a Cannes.
Come ha giustamente detto Elisabetta Sgarbi:
“A me pare che questa polemica sia il segnale della temperatura alta che si è raggiunta nel mondo del teatro, dei cinema, aggiungo delle librerie” e “non mi sembra utile - prosegue - disquisire su chi ha ragione e su chi ha torto. La cosa più importante sarebbe dare risposte a un mondo che è in grande sofferenza, anzitutto quello dei cinema e dei teatri. Lasciarli nell’incertezza non può che aumentare la tensione, che a sua volta non può che scaricarsi sul bersaglio più grande e più vicino: in questo caso Sanremo. Le ragioni di questa protesta sono profonde e vanno comprese, non penso sia Sanremo, tuttavia, il bersaglio giusto”.
E infatti bisogna guardare avanti senza lotte di classe all’interno del mondo culturale. Oggi la cultura musicale è una sola, non esistono più le differenze, basta vedere la contaminazione in atto.
Lo streaming sta aprendo a un nuovo pubblico, fatto di tanti giovani che si avvicinano all’opera ed alla classica. Bisogna lottare tutti insieme perché ci siano più risorse per la cultura, e in particolare per la musica nel Piano nazionale per il recovery (PNRR) evitando lotte fratricide all’interno della filiera culturale.