Musica, lo streaming cresce: tra Song Economy e Value Gap

31 maggio 2021

Dopo oltre venti anni dall’inizio della rivoluzione digitale, il percorso che ha trasformato l’industria musicale ha visto consolidarsi i modelli di business online e stabilizzare un’importante fonte di ricavo, quella generata dallo streaming.

Dopo gli anni Duemila, nei quali la sfida della pirateria pose un deciso freno al mercato con pesanti conseguenze su tutta la filiera creativa, il settore ha ripreso a crescere, anche se i ricavi non sono ancora tornati ai livelli storici. Nel 2001 il fatturato globale dell’industria discografica aveva raggiunto i 23,6 miliardi di dollari e nel 2020 i ricavi si sono chiusi a 21,6 miliardi. Pertanto, anche di fronte a una crescita costante negli ultimi anni, l’economia dello streaming è ancora nella sua fase di sviluppo.

La sostenibilità del modello di remunerazione basato sullo streaming

In questo contesto di mercato si sentono spesso muovere dei rilievi sulla sostenibilità del modello di remunerazione basato sullo streaming e come i ricavi siano poco significativi, soprattutto per gli artisti.

Vale la pena, pertanto, di analizzare l’attuale scenario in tutta la sua dimensione osservando più nel dettaglio come si muove l’economia dello streaming, anche rispetto al mondo del CD o quello del live.

Nel modello di business dello streaming il totale del fatturato è generato dagli abbonamenti e dai ricavi pubblicitari. In tale contesto è fondamentale comprendere che il totale dei ricavi dagli abbonamenti dipende dal numero di utenti piuttosto del numero di stream ascoltati. È un aspetto che non sempre è immediatamente percepibile perché l’industria musicale si è basata per anni sulla determinazione del successo fondata sulle vendite di unità, prima con i CD e poi con il download. Anche nella musica live gli artisti basano le proprie analisi sul numero di biglietti staccati.

In tale contesto potrebbe essere ingannevole ragionare sulla remunerazione “per stream”. Alcuni servizi hanno utenti maggiormente attivi che generano un “rate per stream” inferiore di altri servizi che attraggono più utenti casuali. Questi ultimi generano maggiori “rate per stream” ma non aggiungono molto al mercato, che non dimentichiamo è basato sulle hit. L’industria discografica è fondata sui successi. Questi, ripagando degli investimenti, sono in grado di compensare gli inevitabili insuccessi e gli investimenti in generi musicali meno remunerativi. I servizi streaming in abbonamento monetizzano gli utenti in una sorta di ARPU (average revenue per user) e non gli ascolti e se gli utenti sono maggiormente coinvolti e fidelizzati questi consumeranno più musica, senza abbandonare la piattaforma.

In definitiva, la crescita del mercato e quindi dei ricavi per la filiera, è indissolubilmente legata alla potenzialità di attrarre nuovi abbonati e generare maggiori risorse finanziarie per tutti i soggetti in gioco.

Come vengono suddivise le economie dello streaming

Vediamo nel dettaglio come vengono suddivise le economie dello streaming.

  • La piattaforma calcola il fatturato globale generato dagli abbonati (e dove presente dal modello ad-supported). Da questi essa deduce l’IVA e il margine del servizio retail, che serve a coprire i costi operativi della piattaforma, la customer acquisition/marketing, lo sviluppo tecnologico, i costi del personale, ecc.
  • Ciò che rimane dei ricavi forma la cosiddetta base royalty (o royalty pool) che è suddivisa tra titolari dei diritti (case discografiche ed editori musicali) sulla base di A) il numero di ascolti delle tracce di proprietà degli aventi diritto e B) gli accordi commerciali di licenza stabiliti con i diversi titolari dei diritti.
  • Il totale pagato ai titolari dei diritti dipende pertanto dalla dimensione e struttura tariffaria della piattaforma, il numero degli ascolti attribuito al singolo artista/autore/compositore nel periodo di riferimento e quanto di questi ascolti vengono ripartiti tra i diversi modelli (abbonamento o sostenuto dalla pubblicità).
  • La popolarità incide, così come incideva nell’era del CD. Tuttavia, come scritto sopra, nell’economia dello streaming il valore di un brano musicale dipende da quanto tale contenuto sia stato ascoltato su un lungo periodo di consumi piuttosto di quanto pagato in passato dal consumatore per acquistare un CD. Al confronto, il sistema di remunerazione dello streaming è più stabile rispetto a quello dell’era del fisico. Invece di una forte vendita inziale con successivi cali e forte diluizione nel tempo i ricavi dallo streaming continuano negli anni, producendo magari una più bassa remunerazione ma più lunga nel tempo, consentendo un maggiore recupero dell’investimento iniziale.

Cosa serve per rendere remunerativo lo streaming

Per rendere pertanto sempre più remunerativo e stabile il segmento dello streaming è fondamentale che la platea di utilizzatori e di servizi si allarghi sempre di più garantendo maggiori introiti.

Nella situazione italiana, nel 2020, si è assistito a un deciso incremento dei ricavi da abbonamenti (+30%) ma anche da piattaforme social come Facebook eInstagram (+31,5%), e nel 2021 altri ricavi arriveranno da nuove piattaforme quali TikTok.

A questi si sommano anche i ricavi di piattaforme di video streaming come YouTube, cresciute nel 2020 del 25 %

La crescita degli utenti dello streaming si rifletterà inevitabilmente sull’intera industria dando impulso ai ricavi. A titolo di confronto possiamo già evidenziare come in pochi anni lo streaming sia cresciuto nei ricavi molto di più della radiofonia. Nel 2020, in Italia, ad esempio, l’intero comparto del broadcasting (incluso le web radio) ha generato per l’industria e gli artisti circa 12,6 milioni di euro. Il segmento audio streaming sostenuto dalla pubblicità (ad-supported) ha generato 38,8 milioni di euro, oltre tre volte tanto.

I riflessi del digitale su investimenti e consumi

La crescita degli incassi derivanti dalle piattaforme streaming si è ovviamente riflessa anche sugli investimenti in nuovi artisti e nuove pubblicazioni. Le aziende, anche in Italia, hanno aumentato significativamente i budget per la ricerca e sviluppo (oltre il 25%) e il marketing. Da notare che sia le spese marketing, come quelle promozionali sono generalmente costi non recuperabili per le case discografiche. Si tratta di spese rilevanti che, data la natura del digitale, sono spese costanti e non limitate all’iniziale investimento per la pubblicazione e la distribuzione del prodotto.

Le opportunità dello streaming per gli artisti sono anche legate anche alla possibilità di raggiungere un pubblico più vasto rispetto all’era del prodotto fisico.

È sensibilmente cresciuto il numero degli artisti che hanno ottenuto significativi risultati di vendita: nel 2020 sono stati 246 gli artisti italiani che hanno superato i dieci milioni di stream contro i 97 che nel 2010 avevano superato la soglia delle diecimila copie vendute tra fisico e download.

Le opportunità del digitale si riflettono anche sulle maggiori capacità per gli artisti di raggiungere percentuali di consumo elevate da parte dei fan. Come ha evidenziato una recente comunicazione di Spotify, gli artisti arrivati tra i top delle piattaforme come ascolti sono passati da 16 mila nel 2015 a 30 mila nel 2018 a 43 mila nel 2020.

Allo stesso tempo le piattaforme offrono maggiori opportunità per il catalogo che ha ripreso quota grazie a operazioni come film e campagne promozionali che hanno riposizionato molte registrazioni storiche nei piani alti delle classifiche muovendo l’intero catalogo degli artisti storici.

Conclusioni

L’anno passato, a causa della pandemia e del blocco dei concerti, è diventato evidente come i nuovi modelli di consumo possano costituire una parte rilevante dell’attività dell’artista ma sicuramente da soli non possono costituire la sola fonte di reddito. L’insieme di diritti digitali, ricavi dalla public performance, dai concerti, dalle brand partnership, dagli utilizzi televisivi e radiofonici hanno esteso le fonti di ricavo per gli artisti negli ultimi anni. La recente direttiva sul copyright, che l’Italia si trova a recepire in questi giorni offre ulteriori spazi per incrementare i ricavi riequilibrando il mercato tra piattaforme e aventi diritto.

La nuova normativa comunitaria ha infatti chiarito che i prestatori di servizi di condivisione di contenuti online (tipo YouTube) effettuano un atto di comunicazione al pubblico o di messa a disposizione del pubblico quando danno l’accesso al pubblico a opere protette dal diritto d’autore o altri materiali protetti caricati dai loro utenti. Di conseguenza, i prestatori di servizi di condivisione di contenuti online dovranno ottenere un’autorizzazione preventiva, anche attraverso un accordo di licenza, dai relativi titolari di diritti. Un passaggio fondamentale nella generazione di ricavi più equi nel mondo online.