Perché sarà l’Asia a trascinare il mercato discografico mondiale

8 agosto 2019

Nei giorni scorsi le prime pagine dei giornali finanziari e di economia hanno dato ampio risalto alle trattative tra il colosso cinese Tencent Holding Limited e il conglomerato francese Vivendi per la cessione di una quota azionaria della prima casa discografica mondiale, Universal Music Group.

Da tempo Vivendi aveva annunciato la disponibilità ad aprire a nuovi soci per la major di Santa Monica. Secondo il recente studio pubblicato da Goldman Sachs Music in the Air la major viene valutata tra i 25 e i 32 miliardi di dollari. Sempre Goldman Sachs ha stimato che gli abbonati ai servizi premium, oggi 255 milioni, saranno 690 milioni nel 2023 e dovrebbero salire a 1,15 miliardi nel 2030, con una crescita per lo più guidata dai paesi emergenti, Asia in testa, che esprimeranno il 68% del totale degli abbonati.

Il 2018, secondo i dati di IFPI, ha visto l’Asia diventare la seconda regione a livello globale per i ricavi combinati di musica digitale e fisica, con una crescita dell’11,7% e con un +30% circa solo a livello di ricavi da abbonanti premium ai servizi streaming.

La Cina, entrata nella top ten dei mercati mondiali nel 2017, è salita al settimo posto nel 2018 e si avvia diventare uno dei top five market in breve tempo. Un altro grande mercato sarà l’India, oggi al 19esimo posto a livello globale, ma già davanti all’Italia e a Spagna nel segmento digitale. Due mercati, quello cinese e indiano, dominati fino a poco tempo da dalla pirateria. CD falsi al 90% del mercato in Cina, musicassette pirata ovunque in India. Per entrambi la rivoluzione digitale e i servizi legali di streaming stanno ora costruendo enormi opportunità per l’industria musicale, non solo locale.

In questo contesto va segnalato anche il successo globale del pop coreano, il K-pop, che nel 2018 ha piazzato i BTS al secondo posto tra gli artisti più venduti a livello globale. La ricerca e sviluppo mirata alla creazione di band, di registrazioni e di video perfetti fino a raggiungere standard maniacali è la chiave di forza della proposta coreana. Il modello coreano è sicuramente indicativo delle potenzialità che un altro grande mercato, ovvero quello cinese, potrà rappresentare in breve tempo. Il C-pop potrebbe essere the next big thing nell’universo della musica globale, ormai dominata da streaming e smartphone e dalla generazione-z, ovvero teen ager attivi sui social media e di fatto senza frontiere.

Dentro questo scenario la mossa di Universal music, nell’accordo con Tencent ha due potenziali risvolti. Aprire definitivamente il difficile mercato cinese alle star occidentali (Tencent gestisce le principali piattaforme streaming cinesi) e dall’altra parte mettere i propri creativi in contatto con le potenzialità degli artisti cinesi. Una complessa strategia ma che potrebbe generare un enorme ritorno in termini di profitti data la dimensione del mercato asiatico e la percentuale di crescita della musica in questi territori.