Perché YouTube fa arrabbiare i musicisti

17 luglio 2017

La questione del "value gap", la discriminazione remunerativa che esiste nel settore dello streaming, tra quanto versato da piattaforme di video sharing come YouTube, e gli altri servizi come Spotify, Apple Music e Amazon ha raggiunto nei giorni scorsi la prima pagina del Washington Post. Ma questo è solo l'ultimo episodio di una relazione complessa che fa del primo servizio di musica digitale per utenti al mondo anche quello più nel mirino della comunità musicale per i bassi ricavi prodotti.
Nei giorni scorsi due Comitati parlamentari di Strasburgo hanno votato i rispettivi pareri sulla proposta in materia di riforma del copyright della Commissione EU e il tema del value gap, nonostante una forte pressione sotterranea di Google per eliminare le previsioni dannose, o addirittura per estendere le eccezioni al cosiddetto UGC (user generated content),  ha superato il vaglio parlamentare.
Un passo avanti per i detentori dei diritti e per la comunità artistica che tuttavia non sembra mettere per ora il gigante di Mountain View nelle condizioni di sedersi ad un tavolo per individuare condizioni più eque. Come riporta il Washington Post, Lyor Cohen, oggi consulente di YouTube, ma con un passato nell'industria discografica, ha ammonito le major a non restare nelle mani di soli tre grandi partner come Spotify, Amazon ed Apple music, ma la questione è ben altra.
YouTube si muove in un'area di salvaguardia generata dalle normative americane, il DMCA, ed europee, la direttiva e-commerce dei primi anni 2000, che pongono dei limiti alla responsabilità degli  intermediari. Una norma nata per evitare che le società di telecomunicazioni che sono state alla base dello sviluppo di internet potessero essere considerate responsabili per gli atti posti in essere dai propri utenti. Ma questa struttura giuridica nacque ben prima di YouTube, che di questo baco normativo ha approfittato. Rimuovere i contenuti illeciti da YouTube si è rivelato uno sforzo immane per i titolari di contenuto, anche grazie all'inadeguato programma di Content ID di Google, e l'unica strada è stata quella di monetizzare al ribasso i contenuti.
YouTube genera più o meno un dollaro ogni mille stream dove Spotify ne genera sette.
YT-Spotify
Per un servizio che oggi copre da solo il 25% del mercato è un indubbio vantaggio competitivo che richiede di essere sanato. Artisti come Arcade Fire, Garth Brooks e Pharrel Williams e manager come Irving Azoff hanno spiegato nel dettaglio come YouTube, nonostante la piattaforma rappresenti la maggior parte dei loro stream video, generi ricavi assolutamente ridicoli rispetto allo streaming audio.
Zoe Keating, un'artista strumentale ha mostrato al Washington Post un rendiconto dove si evince che da YouTube ha guadagnato 261 dollari per 1,42 milioni di stream contro 940 dollari per 230 mila stream su Spotify.
YouTube si è recentemente difesa con una ricerca che mostra come senza la piattaforma video l'85% degli utenti migrerebbe verso un servizio pirata.
Tuttavia, come dimostrato anche in Italia, se YouTube non esistesse, complessivamente l'87% degli utenti si disperderebbe tra servizi pirata o a basso valore, ma un 13% finirebbe per utilizzare servizi premium di audio streaming e questo 13% di utenti che da YouTube finirebbero su piattaforme streaming premium genererebbe per il mercato italiano dello streaming un valore pari a circa 26 milioni di euro di ricavi con un incremento nel segmento streaming premium del 41%.
La musica su YouTube rimane intanto il contenuto dominante anche nell'era delle video star e dei gattini, generando per Google enormi quantità di risorse economiche che non rientrano ai titolari dei diritti. La più grande sfida dai tempi della lotta alla pirateria che oggi i legislatori di Europa e Stati Uniti sono chiamati a risolvere.