Pirateria a Napoli negli anni Novanta: la favola del pirata buono e i soldi che finivano ai clan

1 marzo 2023

Nel raccontare l’epopea di Mixed by Erry, l’organizzazione che gestì per anni un vasto traffico di musicassette e CD pirata a Napoli e nel Mezzogiorno arrivando perfino a Milano, si tende a guardare agli aspetti di costume più folcloristici che erano la sovrastruttura più appariscente di un fenomeno illegale di fatto realizzato alla luce del sole. La pirateria musicale negli anni Ottanta e Novanta raggiunse la sua massima espansione, non solo in Italia. Era un fenomeno legato alla facile riproduzione di contenuti che godevano di grande successo: le organizzazioni di falsari producevano solo hit senza alcun rischio sugli investimenti e si descrivevano come imprese di spettacolo in grado di competere alla pari con l’industria legale. Complice una grave sottovalutazione del fenomeno, la contraffazione musicale prosperava dunque indisturbata. Quando alla prefettura di Napoli nel 1996, in un incontro del comitato per la pubblica sicurezza e il console USA a Napoli, esponemmo come industria i numeri del fenomeno e i danni causati al settore la risposta fu: “meglio che vendano le cassette pirata che la droga”.

Era tutta in quella risposta l’idea che i danni causati dalla pirateria fossero accettabili e che la contraffazione fosse anzi da considerare come un ammortizzatore sociale in grado di garantire un perimetro occupazionale a intere famiglie. Insieme alle istituzioni questo lo avevano capito benissimo anche i clan della camorra, che dal traffico di cassette e CD ricavavano notevoli incassi controllando i quartieri dove si producevano i falsi: la contraffazione musicale e audiovisiva era in realtà il secondo business più redditizio dei clan dopo il traffico di sostanze stupefacenti, a fronte di investimenti contenuti e con un grado di rischio molto basso.

Questo emerse molto bene negli anni successivi grazie ai grandi pentiti di camorra. Il 5 febbraio del 2003 davanti al PM della Direzione Distrettuale Antimafia Filippo Beatrice, il pentito Luigi Giuliano sottolineava come le estorsioni - ma anche la droga e l’industria di videocassette e cd falsi - garantissero alla malavita organizzata introiti a nove zeri, nell’ordine di «decine di miliardi al mese». Il verbale fu depositato nella cancelleria della Corte d’Assise dove il pentito doveva deporre al processo sugli omicidi commessi nel 1998 nell’ambito della cosiddetta faida Contini-Mazzarella, culminata con l’agguato avvenuto il 16 febbraio 1998, alle porte del carcere di Poggioreale e sfociato nella morte del settantaseienne Francesco Mazzarella.

Raccontava Giuliano che a metà degli anni Ottanta, dopo una serie di omicidi maturati tra le organizzazioni di vertice della camorra, la Cupola si riunì più volte alla presenza di tutti i capiclan «per la spartizione degli interessi criminali che fino ad allora erano stati gestiti in comune».

Nel corso dell’interrogatorio, Luigi Giuliano ricordava che la Cupola gestiva anche altre attività illecite: il totocalcio e il lotto clandestino, che fruttavano complessivamente un paio di miliardi di lire alla settimana, ma anche il traffico di droga e il contrabbando di sigarette. Per ognuno di questi settori, l’ex boss percepiva una parte degli introiti. Lo stesso discorso vale anche per l’industria del falso: inizialmente con le videocassette, poi anche con i cd. Altri dati emergono da ordinanze di custodia cautelare emesse perfino negli Anni Dieci: nell’ordinanza contro Barile+22 del 18 settembre 2011 i PM scrivevano che il controllo del mercato della contraffazione e la produzione dei CD e dei DVD era “un settore altamente remunerativo che in termini di capacità di produrre profitti illeciti si colloca subito dopo quello del controllo del traffico illecito di sostanze stupefacenti”.

Pertanto, c’era poco o nulla di “etico” come sostengono i produttori e registi del film Mixed By Erry nell’era della riproduzione illegale. Si colpivano i settori legali ai quali venivano meno le risorse per investire nei giovani talenti e si alimentava un circuito criminale. Negli atti della DDA, che con il PM Luciano D’Angelo e gli agenti del commissariato “Dante” decisero di risalire tutta la filiera emerge uno spaccato molto evidente e per niente simpatico che si concretizzerà ancora di più con le indagini successive.

La stessa sottovalutazione dell’epoca rischia spesso di portare a considerare con poca attenzione anche l’attuale fenomeno della pirateria delle IPTV (il cosiddetto “pezzotto”) che colpisce le trasmissioni delle partite di calcio e l’industria cinematografica causando milioni di euro di danni ai titolari dei diritti e che alimenta i redditi illegali della grande criminalità campana.

Un’ultima riflessione riguarda la produzione musicale napoletana e lo sviluppo degli artisti: negli anni Novanta pochissimi artisti di Napoli riuscirono infatti a emergere e le case discografiche investivano poco o niente perché gli artisti locali erano devastatati dalla pirateria. Si cerca di far passare la storia di Mixed by Erry come quella di un’etichetta che, grazie alla pirateria, dava visibilità agli artisti locali ma la maggior parte di loro rimasero ancorati al business in nero dei concerti per i matrimoni senza mai sfondare realmente. La fine della pirateria e la nascita dello streaming di Spotify e altre piattaforme ha invece ridato linfa a tutta la produzione della regione partenopea, confermata dal raddoppio degli artisti campani al vertice della classifica ufficiale Top of the music tra gli Anni Novanta e gli ultimi 5 anni, nell’era dello streaming, e dai dischi multiplatino di Capo Plaza, Rocco Hunt, Liberato, Luchè, Geolier, Enzo Dong, SLF, Ntò, Lucariello e tanti altri giovani talenti di oggi.